La protezione degli occhi in montagna

Giovedì, 20 Ottobre 2016

La protezione degli occhi in montagna

Oggi, rispetto al passato, la quantità di radiazioni che raggiunge la terra è maggiore a seguito della rarefazione progressiva dello strato d’ozono.
Grazie alle ben note ed opportune campagne di sensibilizzazione sui rischi per la nostra pelle, al giorno d’oggi molti hanno imparato ad evitare le scriteriate esposizioni al sole che erano la regola negli anni passati, quando, soprattutto nella stagione balneare, si assisteva ad una ossessiva rincorsa di massa alla “tintarella” a tutti i costi. Misconosciuti ai più continuano, pero, a rimanere i pericoli che la luce può far correre al nostro apparato visivo.

Il 90% della popolazione sa bene quali danni possa causare il sole danni per la nostra pelle ma solo il 10% comprende che esso può avere effetti negativi anche a livello oculare.
La luce naturale è costituita da onde elettromagnetiche non ionizzate prodotte dalla reazione termonucleare del sole formate da particelle dotate di energia (i fotoni) che nell'insieme costituiscono lo spettro solare. Il 3% di esse è costituito da raggi non percepibili dall'occhio umano e a corta lunghezza d’onda.
La pericolosità delle radiazioni elettromagnetiche è legata alle loro capacità di interagire con le molecole organiche del nostro organismo ed è strettamente correlato al loro contenuto di energia inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda. Ne risulta che i più dannosi di essi siano gli ultravioletti (UV), tanto più perché subdoli in quanto non percepite né dalla vista né dai termorecettori.
Esse sono in grado di procurare danni permanenti e cumulativi in tutti i tessuti, ovviamente, in funzione della loro intensità, della lunghezza d’onda, e della durata dell’esposizione, con particolare elezione per quelli oculari che a differenza di quelli cutanei sono naturalmente privi di strutture protettive come la melanina e la cheratina.
A loro volta suddivisi in tre catagorie (A,B e C), la componente più dannosa dei raggi UV e soprattutto la A, in quanto la C è assorbita e neutralizzata dall’atmosfera e la B, sebbene parzialmente, dalla cornea e dal cristallino, pur potendo, comunque la sua energia penetrare nell’occhio e raggiungere la retina, tant’è che attualmente si è cominciato a guardare con sospetto anche questa componente.

Assolutamente “fisiologici” sono, invece, gli effetti sull’occhio dei raggi solari dello spettro visibile, i quali in casi di esposizione a fonti luminose eccessivamente intense possono rappresentare solo fastidi, con un’unica eccezione rappresentata dalla maculopatia solare che si verifica esclusivamente nel caso in cui si fissi irragionevolmente il sole in maniera diretta e per lungo tempo, come accade per motivi “religiosi” (ben note sono le maculopatie di Medjugori) “scientifico-amatoriali” (in occasione, ad esempio, delle ecclissi di sole).
Il tipo di radiazione che raggiunge la superficie terrestre è condizionato dalle caratteristiche dell’atmosfera, dalla posizione del sole rispetto alla terra nell’arco della giornata e dalle condizioni ambientali e dall’altitudine (ad es. mare o montagna). L’emisfero meridionale è quello più esposto all’UV ma è opportuno ricordare che i buchi d’ozono (riscontrabili in entrambi i poli) sembrano stiano appiattendo tale gap favorendo l’esposizione ai loro effetti in maniera indiscriminata.

Se per la pelle il momento di massima vulnerabilità si ha quando il sole splende sulla perpendicolare (ovvero dalle 10 am alle 2 pm, specie in estate) il momento in cui i tessuti oculari risentono maggiormente degli effetti dannosi della luce e quando essa ha di incidenza rispetto alla terra di 40° e quindi gli orari più a rischio sono, alle nostre latitudini quelli compresi fra le 9,00 del mattino e le 14,00-15,00, soprattutto in primavera ed in autunno mentre per la pelle è l’estate.
Riferendoci in generale a tutte le componenti dello spettro solare (a prescindere dalle distinzioni relative alle diverse lunghezze d’onda), è fuori di dubbio che un’inopportuna esposizione alla luce possa causare problemi all’apparato visivo, di gravità variabile e suddivisibili in un due grandi categorie principali: quella dei semplici fastidi che generano disconfort visivo e quella comprendente, invece, l’istaurarsi di veri e propri stati patologici.
Fra i primi vanno compresi i fenomeni causati dallo spettro visibile della luce, connessi essenzialmente all’esposizione a fonti luminose eccessivamente intense, eventualmente potenziate da fenomeni di riverbero indotti dalle superfici regolari e chiare ad alto potere riflettente (come possono essere gli specchi d’acqua o la neve) che in casi limite può indurre anche cecità temporanea ma di regola procura semplice disagio visivo ed affaticamento che comunque determinare pericolose distrazioni o favorire condizioni di pericolo dettando una importante limitazione delle capacità visive allorquando si passa rapidamente da zone fortemente illuminate ad altre a bassa.

Fra i secondi diverse patologie che possono interessare tutte le strutture oculari in relazione agli effetti dei raggi UV che, sebbene invisibili, raggiungono l’occhio potendo causarvi danni più o meno gravi anche senza che ce ne accorgiamo e senza che vi sia un fastidio diretto.
A livello corneale i potenziali danni da radiazione UV interessano tutti gli strati cellulari e aumentano con l’età in relazione all'assottigliamento senile della stessa ed alla riduzione delle sue capacità filtrante. La congiuntiva è vulnerabile e il problema più frequente, che sembrerebbe decisamente connesso alla scriteriata esposizione alla luce è lo pterigio.

In merito al cristallino, essendo esso il principale filtro che madre natura ha messo “naturalmente” a nostra disposizione per proteggerci dai danni da UV, sta nella logica delle cose che finisca per perdere la propria trasparenza proprio a causa dell’esposizione alla radiazione UV, tanto che a seguito dell’ulteriore riduzione dell’ozono nei prossimi 10-20 anni, si prevede un incremento dell’incidenza della cataratta.
La retina, pur essendo sottoposta ad una modesta esposizione ai raggi UV, è comunque a rischio, che può andare incontro a retinite solare e degenerazione maculare senile.

Va inoltre sottolineato che il danno da UV è cumulativo e a lungo termine e colpisce maggiormente i bambini che hanno una cornea piu sottile.
A questo punto risulta evidente l’importante ruolo giocato dai filtri UV per la salute oculare dei soggetti di tutte le età.
La salvaguardia degli occhi è veramente importante. Soprattutto in alta quota il vento e i raggi solari, fortissimi se riflessi dalla neve e dal ghiaccio, costituiscono fonti di fastidiosi problemi e, alla lunga, causa di malattie agli occhi. Per evitare quindi arrossamenti, irritazioni e secchezza, è buona regola essere sempre muniti di occhiali soprattutto di quelli da sole per le giornate particolarmente serene e terse. Un buon paio di occhiali è indispensabile per praticare l'alpinismo e il trekking su nevaio e ghiacciaio.
La cheratocongiuntivite attinica o oftalmia nivalis è un problema medico estremamente frequente in montagna.
Nonostante la prima citazione della “cecità da neve” risalga già al 400 a.C. per opera di Senofonte, anche in tempi più recenti, dalla storica ascesa dei francesi al primo ottomila fino ai giorni nostri, sembra che gli alpinisti sottovalutino la protezione degli occhi dalla luce solare.

L’oftalmia delle nevi non colpisce solo i grandi alpinisti impegnati nella conquista degli ottomila himalayani ma può interessare qualsiasi alpinista impegnato sulle nevi del nostro arco alpino o appenninico, così come qualsiasi sciatore che passi una giornata sugli impianti di risalita, senza un’adeguata protezione dalle radiazioni solari.
La causa dell’oftalmia delle nevi è da ricercare principalmente nell'esposizione dell'occhio alle radiazioni solari, in particolare alla componente ultravioletta (UVA e UVB), accentuata dall'azione riflettente del manto nevoso.
Gli ultravioletti sono la componente della luce solare a maggiore contenuto energetico e costituiscono un pericolo “invisibile” perché essendo posti al di là della gamma cromatica dei violetti (ultra-violetti) non sono percepiti dall'occhio umano. Gran parte della radiazione solare viene arrestata dall'atmosfera terrestre, cosicché tanto più si sale di quota tanto più la quantità di atmosfera diminuisce e tanto maggiore è la quantità di radiazioni solari che investe l'uomo.
I valori massimali vengono inoltre raggiunti quanto più il sole è alto nel cielo, come durante i mesi estivi nelle ore comprese tra le 11 e le 14 della giornata. La nebbia e le nuvole non devono trarci in inganno; le piccole particelle di acqua assorbono infatti le radiazioni infrarosse (quelle calde) ma hanno un minore effetto sulle radiazioni ultraviolette.
È in queste condizioni infatti che in montagna si tende ad allentare la protezione e ci si dimentica di usare la crema solare o gli occhiali arrivando poi alla sera in rifugio con gli occhi rossi e doloranti. Inoltre, la nebbia, le superfici d’acqua e la neve agiscono da superficie riflettente aumentando in modo significativo l’esposizione alle radiazioni ultraviolette.
Le radiazioni ultraviolette agiscono sulla cornea (la parte centrale trasparente del bulbo oculare) determinando una necrosi (cioè la morte) delle cellule che costituiscono il suo strato superficiale, con la messa a nudo dei piccoli filamenti nervosi che corrono immediatamente al di sotto di questo strato.
Queste terminazioni nervose hanno il compito di innescare una reazione di difesa quando un corpo estraneo sfiora la cornea; la loro messa a nudo determina quindi una elevatissima sensibilità della cornea a qualsiasi stimolo (anche al solo sfregamento delle palpebre) con la comparsa di dolore urente, intensa lacrimazione e fastidio alla luce (fotofobia), a cui segue uno spasmo palpebrale (chiusura delle palpebre) che, nei casi più gravi, rende impossibile la vista.

Tutto ciò è complicato dalla presenza del vento e del freddo che esaltano l’irritazione delle fibre nervose corneali, sia per azione diretta sulle stesse, sia aumentando l’evaporazione del film lacrimale protettivo.
In genere l’interessamento corneale (cheratite) è accompagnato da un’infiammazione della congiuntiva (mucosa che riveste la parte bianca del bulbo oculare e la superficie interna delle palpebre), che si manifesta con una fastidiosa sensazione di sabbia negli occhi, completando così il classico quadro della cherato-congiuntivite da radiazioni solari.

I sintomi insorgono in genere dopo 6-12 ore dall’esposizione al sole, quindi in genere la sera o la notte dopo l’escursione. Il dolore e la conseguente difficoltà nel tenere aperti gli occhi si mantengono anche durante la notte. Il danno sull’occhio non è di per sé grave in quanto l’epitelio corneale si rigenera in genere in 12-24 ore portando alla risoluzione dei sintomi.
La menomazione visiva presente durante la fase sintomatologia può essere invece grave, e può causare incidenti talvolta anche mortali.
La prevenzione si basa sull'adottare sempre degli occhiali da sole le cui lenti garantiscano un’adeguata protezione dalle radiazioni solari (leggere accuratamente il foglietto di accompagnamento dell’occhiale in cui il grado di protezione è riportato secondo una scala da 1 a 4; per l’attività su ghiacciai occorre una protezione almeno di grado 3).

A parità di capacità di assorbimento delle radiazioni UV sono migliori le lenti di colorazione più chiara, in quanto essendo più luminose limitano la dilatazione della pupilla (che normalmente si verifica con l’oscurità) determinando l’ingresso di una minor quantità di luce nell'occhio.
Devono inoltre essere dotati di protezioni laterali in modo da fermare la radiazione diffusa, il vento, e limitare l’azione del freddo. Gli occhiali devono essere indossati durante tutto il tempo passato sulla neve, dal mattino presto fino alla sera tardi e indipendentemente dalle condizioni metereologiche.
Poiché la lesione si risolve spontaneamente nell’arco di 12-24 ore la terapia consiste essenzialmente nell'attesa. Può essere utile applicare delle lacrime artificiali o delle pomate decongestionanti e/o riepitelizzanti per proteggere la superficie oculare, e nel mantenere bendato l’occhio in modo da evitare i movimenti delle palpebre. L’applicazione intermittente di ghiaccio sulle palpebre (al di sopra del bendaggio per evitare il contatto diretto con la cute) può portare del sollievo, probabilmente per la sua azione decongestionante sulla congiuntiva.
L’utilizzo di colliri antibiotici ha un significato protettivo non indispensabile, mentre sono da evitare colliri anestetici o cortisonici che, pur riducendo i sintomi, possono rallentare il processo di guarigione della cornea. Attenzione: se la sintomatologia persiste oltre le 24-48 ore sottoporsi immediatamente ad un controllo oculistico.

Infine, bisogna sottolineare che l’oftalmia da ghiacciaio è il pericolo minore conseguente alla scorretta esposizione dell’occhio alla luce solare e rappresenta un campanello d’allarme che ci indica che dobbiamo adottare dei corretti sistemi di protezione.
Ben più gravi sono infatti i rischi per la salute dell’occhio in caso di un’esposizione cronica senza un’adeguata protezione, che possono portare a gravi patologie, che danno segno di sé solo tardivamente, quando sono pienamente sviluppate, e per le quali non sempre le cure possono essere efficaci (cataratta, lesioni retiniche, tumori palpebrali).
Gli occhiali devono avere lenti di buona qualità e devono avere la pellicola antiriflesso sulla superficie interna. Questo è importante per evitare il dannoso effetto per cui l'occhio viene affaticato ed irritato dalla luce che riflette la lente in diverse e numerose traiettorie. Due buone lenti proteggono gli occhi dai raggi UV indipendentemente dal colore. Non sono consigliate quelle troppo scure perché provocano un'eccessiva dilatazione delle pupille con conseguenti irritazioni ed affaticamento. Gli occhiali ideali per l'alta quota sono quelli con protezioni laterali che riparano sia dalla luce che dal vento.

Dr. Giovanni Francesco Lepore, medico oculista in Roma e Sulmona.

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